Art. 609-bis e segg. c.p.: violenza sessuale

Il delitto di violenza sessuale è previsto e punito dall’art. 609-bis c.p., che così dispone:

“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

La norma incriminatrice tutela quindi la libertà personale e morale della persona, sotto il particolare profilo della libertà di autodeterminazione della propria vita sessuale.
Il fatto materiale consiste nell’intrattenere rapporti sessuali con una persona non consenziente, cioè che non vuole intrattenere quei rapporti.

In particolare, la norma prevede che, per giungere all’atto sessuale non voluto dalla vittima, l’autore usi violenza o minaccia (ad esempio, puntando una pistola, un coltello alla gola, o anche minacciando di rivelare qualcosa che la vittima non vuole si sappia); oppure “abuso di autorità”, cioè classicamente il “capo” cui si cede per timore che altrimenti “blocchi la carriera”.

Sul punto, chiarissima è Cass. 49990/14 che, ricostruendo i diversi orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia, ha affermato che il Legislatore, con l’espressione “abuso di autorità”, ha “inteso sanzionare qualsiasi soggetto che, dotato di autorità pubblica o privata, abusi della sua posizione per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali; si è, così, voluto far rientrare nella norma, ad evitare che rimanessero aree di impunità, tutte quelle ipotesi in cui la vittima sia costretta a subire atti sessuali o contro la sua volontà o perché il suo consenso è viziato stante la impossibilità di esprimerlo in termini di effettiva consapevolezza e libertà di autodeterminazione”.

E’ un c.d, “reato di evento” e può essere commesso da chiunque: le eventuali qualifiche rivestite dal soggetto agente, in alcuni specifici casi, sono valutate dalla legge come aggravanti.

La casistica è la più varia, e se ne riporta di seguito qualche esempio.

Cass. pen. n. 14085/2013: “In tema di reati sessuali, l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva. (Fattispecie nella quale è stato attribuito valore di coercizione psicologica alle reazioni scomposte del marito, percepibili di notte dal figlio convivente e dal vicinato, che avevano ingenerato una situazione di disagio e vergogna tale da indurre la moglie ad accettare rapporti sessuali contro la sua volontà)”;

Cass. pen. n. 1183/2012: “Integra il reato di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica (art. 609 bis, comma secondo, n. 1, c.p.) la condotta di chi si congiunga carnalmente con una donna addormentatasi a seguito di ingestione di sostanze alcooliche, essendo l’aggressione alla sfera sessuale della vittima connotata da modalità insidiose e fraudolente“;

Cass. pen. n. 39710/2011: “L’intenzionale e prolungata pressione sulla zona genitale della vittima, sia essa protetta o meno dalla biancheria, integra il reato di violenza sessuale anche nel caso in cui sia ispirata da una finalità diversa da quella a sfondo sessuale. (In motivazione la Corte, a titolo esemplificativo, ha richiamato la volontà di umiliare la vittima o quella di vendicarsi di condotte precedenti)”;

Cass. pen. n. 11958/2011: “La fattispecie criminosa di violenza sessuale è integrata, pur in assenza di un contatto fisico diretto con la vittima, quando gli “atti sessuali”, quali definiti dall’art. 609 bis c.p., coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e siano finalizzati ed idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale. (Nella specie il reo aveva indotto la vittima a compiere su se stessa atti sessuali di autoerotismo, culminati nel conseguimento del piacere sessuale di entrambi)”;

Cass. pen. n. 20578/2010: “Il reato di induzione a compiere o subire atti sessuali con l’inganno per essersi il reo sostituito ad altra persona (art. 609 bis, comma secondo, n. 2, c.p.) è integrato anche dalla falsa attribuzione di una qualifica professionale, rientrando quest’ultima nella nozione di sostituzione di persona di cui all’art. 609 bis c.p. (Nella specie il ricorrente aveva convinto la vittima a sottoporsi ad una visita ginecologica “tantrica” qualificandosi come medico ginecologo, qualifica di cui non era in possesso)”;

Cass. pen. n. 16757/2009: “Il delitto di violenza sessuale è configurabile sia nel caso di rapporto sessuale completo sia nel caso di compimento di atti sessuali, in quanto ai fini della configurabilità del reato è sufficiente un’intrusione nella sfera sessuale della vittima”;

Cass. pen. n. 37251/2008: “In tema di reati sessuali, rientra nella nozione di minaccia impiegata dall’art. 609 bis c.p. anche la prospettazione, da parte del soggetto agente, di esercitare un diritto quando essa sia finalizzata al conseguimento dell’ulteriore vantaggio di tipo sessuale, non giuridicamente tutelato, ottenendosi per tale via un profitto ingiusto e contra ius. (Fattispecie di minaccia rappresentata dal prospettato esercizio di un’azione di sfratto )”;

Cass. pen. n. 28815/2008: “In tema di reati sessuali, è atto sessuale sia il contatto fisico diretto che quello simulato con una zona erogena del corpo (nella specie, la bocca ), in quanto atto parimenti invasivo dell’altrui sfera sessuale. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta assimilabile ad un coito orale dissimulato l’introduzione nel cavo orale della vittima non del membro virile ma dello sperma, prodotto dell’eiaculazione)”;

Cass. pen. n. 25112/2007: “Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, va qualificato come «atto sessuale» anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto”; e così via.

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Le molte circostanze aggravanti di questo particolare reato sono disciplinate dal seguente art. 609-ter c.p., ai sensi del quale:
La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609 bis sono commessi:
1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
2) con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;
5-bis) all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa;
5-ter) nei confronti di donna in stato di gravidanza;
5-quater) nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza;
5-quinquies) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;
5-sexies) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.
La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci”.

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Come si vede, le circostanze aggravanti di cui all’art. 609-ter c.p. sono tutte volte ad individuare una serie di particolari situazioni nelle quali comunque l’atto sessuale è imposto dall’agente e subito dalla vittima, con l’uso di violenza o minacci od abuso di autorità.

Ad esempio, Cass. pen. n. 29603/2011: “Il delitto di violenza sessuale, aggravato dalla circostanza speciale dell’uso di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti gravemente lesive della salute della persona offesa assorbe quello di procurata incapacità mediante somministrazione di sostanze stupefacenti. (Fattispecie nella quale erano stati contestati entrambi i reati ad un soggetto che aveva costretto alcune donne al compimento di atti sessuali, ponendole in condizioni di incapacità mediante somministrazione di un caffè mescolato con narcotici)”;

Cass. pen. n. 49586/2009: “La circostanza aggravante della violenza sessuale “su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale” include anche le ipotesi nelle quali lo stato del soggetto passivo non discenda da un potere pubblicistico ed abbia natura illecita comprensiva del sequestro di persona”;

Cass. pen. n. 2119/2009: “Con riferimento al reato di violenza sessuale nei confronti di minore infraquattordicenne, la posizione di convivenza dell’imputato con la madre del minore stesso può rappresentare presupposto dell'<abuso di autorità>”;

Cass. pen. n. 19725/2008: “In tema di violenza sessuale in danno di minori, la circostanza aggravante della minorata difesa è compatibile con quella della minore età a condizione che il reo non si limiti solo ad approfittare della minore età della vittima, in quanto mentre l’aggravante speciale prescinde dalle modalità dell’azione, quella comune riguarda proprio tali modalità. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la compatibilità delle due aggravanti, avendo il reo approfittato della gracilità fisica delle vittime, circostanza fattuale apprezzata ai fini dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5, c.p. )”.

Occorre poi precisare che anche il genitore che sa degli abusi perpetrati dal coniuge dal convivente in danno dei figli minori, risponde di concorso in violenza sessuale aggravata: “Il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell’art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell’integrità psico – fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all’art. 40 cpv. c.p., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell’evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul «garante»; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento” (Cass. pen. n. 4730/2008).

Quanto alla prova del delitto, la giurisprudenza non è affatto garantista nei confronti degli accusati, e giunge ad affermare che, in sostanza, basta la sola denuncia della presunta vittima per giungere alla condanna dell’imputato: si veda Cass. pen. n. 1818/2011, per la quale “La dichiarazioni della persona offesa, vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilità dell’imputato, non necessitando le stesse di riscontri esterni. (In motivazione la Corte ha precisato che, in questa materia, proprio perché al fatto non assistono testimoni, posso tuttavia acquisire valore di riscontro esterno le confidenze rese dalla vittima a terzi in periodi non sospetti)”.

Certamente vi sono casi – probabilmente la maggioranza – nei quali il reo adotta ogni cautela per non lasciare tracce né testimoni, ma con questa impostazione è davvero sufficiente accusare qualcuno di violenza sessuale, per determinarne la condanna e spillare soldi a titolo di risarcimento.
Si pone cioè in capo all’accusato una vera e propria “probatio diabilica”.