Art. 609-quater. c.p.: atti sessuali con minorenne

Il delitto di atti sessuali con minorenni è previsto e punito dall’art. 609-quater c.p., il quale così dispone:
Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:
1) non ha compiuto gli anni quattordici;
2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.
Fuori dei casi previsti dall’articolo 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza, che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Si applica la pena di cui all’articolo 609 ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci”.

La norma incriminatrice tutela quindi la libertà personale e morale della persona minorenne, sotto il particolare profilo della libertà di autodeterminazione della propria vita sessuale.

La legge, cioè, considera il minore non pienamente capace di autodeterminarsi nella espressione della propria sessualità.

Il fatto materiale consiste nell’intrattenere rapporti sessuali con una persona non ancora maggiorenne, senza l’uso di violenza o minaccia o abusi di autorità (nel qual caso si applicherebbe invece l’art. 609-bis c.p.) solamente al ricorrere di precise e tassative circostanze determinate dalla norma.

Occorre subito precisare alcune questioni, che nel senso comune spesso sfuggono: se non vi è violenza o minaccia, né abuso d autorità, qualora una persona maggiorenne – di qualsiasi età – abbia rapporti sessuali con una persona minorenne consenziente, purché abbia compiuto i 14 anni, non commette reato.

Dare quindi del “pedofilo” ad un quarantenne che ha una relazione con una quindicenne, costituisce diffamazione.

La “pedofilia” comunemente intesa è infatti una categoria “sociale”, estranea al diritto penale: nel codice penale la si ritrova solamente all’art. 414-bis c.p., e cioè il delitto di “istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia”.

Di per sé, dunque, quando non ricorrano particolari condizioni, rapporti sessuali fra ultra quattordicenni e maggiorenni sono leciti e consentiti.

Il problema sorge invece quando tra il maggiorenne ed il minorenne intercorrono particolari relazioni, puntualmente e tassativamente indicate dall’art. 609-quater c.p., che contempla invece il delitto di “atti sessuali con minorenne”, presupponendo espressamente che l’atto sessuale tra maggiorenne e minorenne non sia frutto di violenza o minaccia o abuso di autorità, e cioè che non vi sia violenza sessuale.

La casistica è ampia.
Cass. pen. n. 53672/2016: “In tema di reati sessuali, la condotta in danno di persona di età inferiore agli anni sedici, posta in essere dall’ascendente o da altro soggetto con questa in rapporto qualificato (art. 609-quater, comma primo n. 2, cod. pen.), in cambio della promessa o dazione di denaro o di altra utilità, integra il reato previsto dall’art. 609 quater cod. pen., che assorbe la fattispecie meno afflittiva tipizzata all’art. 600 bis, comma secondo, cod. pen., che sanziona gli atti sessuali retribuiti con il minore degli anni diciotto, salvo che il fatto costituisca reato più grave”;

Cass. pen. n. 47980/2016: “Ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 609-quater cod. pen., è sufficiente il compimento di un atto sessuale con un minorenne, non essendo necessario il coinvolgimento fisico o emotivo di quest’ultimo o la consapevolezza da parte di questi dell’offesa arrecata allo sviluppo della sua personalità sessuale. (Fattispecie relativa ad atti sessuali di autoerotismo compiuti dall’imputato mentre teneva la nipote di mesi undici sulle ginocchia)”.

Particolare attenzione occorre poi prestare al consenso della vittima: la legge prevede una presunzione assoluta di inidoneità del consenso eventualmente prestato ad avere efficacia scriminante del delitto de quo (cioè, non lo giustifica e non rende il fatto lecito) , e tuttavia – proprio tale fattispecie perché si differenzia dal delitto di violenza sessuale – il consenso eventualmente prestato va considerato dal Giudice ai fini della valutazione della gravità in concreto del fatto.

Sul punto, chiarissima è Cass. 52380/16: “Va anzitutto disatteso il primo rilievo posto dal ricorrente con il quale si censura la avvenuta valorizzazione, ai fini del riconoscimento della attenuante speciale in questione, del consenso prestato dalla vittima giacché tale consenso sarebbe già elemento materiale del reato ex art. 609 quater cod. pen .. In realtà, la stessa struttura del reato in parola, fondata sul mero compimento di atti sessuali con persona infraquattordicenne o, in casi particolari, infrasedicenne, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis cod. pen., è illustrativa del fatto che, ai fini della integrazione della fattispecie, il consenso ovvero il dissenso al rapporto del minore è indifferente, giacché è la stessa caratterizzazione della persona offesa, per età (nel caso di cui al n.l dell’art. 609 quater, comma l, cit.) o per altri fattori ad essa congiunti (nel caso di cui al n.2 dello stesso articolo), a rendere irrilevante e, dunque, inutiliter datum, l’espressione di un consenso che, per le ragioni appena viste, non potrebbe mai definirsi effettivamente tale (sicché deve, anzi, definirsi come erroneo il postulato del P.G. ricorrente secondo cui il
consenso sarebbe elemento costitutivo del reato). Tuttavia, una tale presunzione legislativa, di carattere assoluto quanto alla configurabilità, come appena detto, del reato, viene ad assumere carattere relativo laddove si tratti di valutare, in concreto, l’atteggiamento del minore ai fini della circostanza attenuante di cui all’art. 609 quater, u.co. cod. pen. posto che, trattandosi, in tale diverso ambito, di valorizzare i “casi di minore gravità” (secondo quella che è una clausola a contenuto aperto utilizzata dal legislatore), il consenso prestato dal minore, pur ineluttabilmente recessivo ai fini della sussistenza del reato, torna però ad essere, ove effettivamente prestato, valorizzabile. Deve pertanto ribadirsi l’affermazione già resa da questa Corte secondo cui il consenso del minore al rapporto sessuale, pur se inidoneo ad escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale, può essere valutato dal giudice alfine di riconoscere la circostanza attenuante della “minore gravità” (Sez. 3, n. 29618 del 14/06/2011, dep. 25/07/2011, M., Rv. 250626)”.